Viole e ortiche
Scritto on 26 Feb, 2012 in Viole e ortiche | 0 commenti
Viole e ortiche fu pubblicato nel 1906 presso lo Stabilimento Tipografico Elettrico R. Calvosa & Co., ubicato al n. 24 di Oliver Street a New York, di proprietà di Rocco Calvosa ed Edward Dramis.
Viole e ortiche raccoglie i testi de L’uominu russu che fino ad allora era noto solo a coloro ai quali era stato fatto pervenire anonimamente per posta o che ne erano entrati in possesso per vie riservate, e Trilogia, con l’aggiunta di tante altre poesie forse non tutte inedite, poichè qualcuna era stata già pubblicata su periodici americani. L’opera si articola in una prima parte chiamata Viole — che si caratterizza per i temi delicati e alti che tocca: la famiglia, l’amore, i miti e le leggende, gli eroi — e in una seconda parte, Ortiche, più breve della precedente e dedicata alle invettive contro i prepotenti e gli arroganti, i nemici del bene che pensano di dominare il mondo ma che non si accorgono di avere ormai perduto, sopraffatti dalla giustizia che prima o poi li annienterà. Dal punto di vista stilistico, l’opera risente senz’altro della circostanza di non essere formata da poesie nate per un unico progetto compositivo ma, piuttosto, di essere l’unione di lavori che il poeta aveva già pubblicato e di altri che erano stati composti nel frattempo. L’insieme tuttavia appare in una luce nuova per il titolo e l’articolazione che suggeriscono le chiavi di lettura da seguire per decodificarne i contenuti.
Dall’esame di questa pagina emerge il problema di quale sia esattamente il titolo del volume, poichè nella pagina interna è presente quella “d” diversamente da quanto è scritto nella copertina. Qui non si tratta di stabilire quale sia il modo esatto di scrivere — che tutti sanno essere quello senza la “d” — piuttosto quale fosse l’intenzione dell’autore. Io assumo che abbia maggior valore quello indicato nella copertina, quindi solo con la “e”, mentre rimane aperta la questione se la “o” di ortiche debba intendersi maiuscola o minuscola. L’uso dei caratteri tutti maiuscoli nella copertina e nelle pagine interne non aiuta a dirimere la questione, ma io propendo per il carattere minuscolo, così come anche ho fatto per L’uominu russu.
Appena aperto il volume ci si imbatte in una pagina fuori numerazione che ospita una fotografia di Michele Pane — quella bellissima fotografia che ho usato per la copertina della biografia, ridimensionata e racchiusa in un ovale. Sotto la fotografia c’è l’autografo del poeta. Fotografia e calligrafia: le due passioni di Michele Pane che lo seguiranno fino alla fine. Il poeta infatti ebbe un vero culto per le fotografie: le sue che inviava continuamente a parenti e amici, e quelle che riceveva e conservava gelosamente. La calligrafia poi fu una sua mania. Tutte le sue lettere sono scritte con caratteri personali e perfettamente uniformi, una vera impronta digitale dei suoi caratteri. Per quanto riguarda la firma, Michele Pane si era fatto realizzare un chichè in metallo che la riproduceva. Io ho avuto la possibilità di esaminare uno di questi clichè che riproduco nell’immagine qui di seguito (l’immagine è capovolta per renderla leggibile) ma che non è quello usato in Viole e ortiche:
A pagina 3 troviamo l’ultima strofa di Alla rima di Giosuè Carducci, poesia datata «Bologna, 22 gennaio 1877» che apre le Rime nuove. I versi sono un chiaro riferimento alla duplice destinazione di Viole e ortiche:
Cura e onor de’ padri miei,
Tu mi sei
Come lor sacra e diletta.
Ave, o rima: e dammi un fiore
Per l’amore,
E per l’odio una saetta.
Inizia quindi Viole Parte I con un’invocazione alle viole (senza titolo), in lingua italiana come tutte le altre poesie che compongono questo primo gruppo:
O viole brune, delicate, aulenti
nate la notte al sospitar dei cieli
quando le fate, avvolte in bianchi veli,
van per le selve al mormorio dei venti
umili viole, che con infinita
cura io raccolsi e con la fede intera,
quando lieta splendea la primavera
nel mattino perlato di mia vita,
oggi vi affido al vento. O viole andate
a posar sovra i miseri abituri,
e ai bimbi de la plebe nascituri
il mio saluto e il vostro olezzo date.
Oggi vi affido al vento. O delicate
figlie di questo cor che vi ha nutrite,
di cui sapete l’intime ferite,
a la mia donna il vostro olezzo date.
Oggi vi affido al vento. O immacolate
viole, speranze mie, picciol tesoro;
dove fervon la lotta ed il lavoro
il mio saluto, o viole, ivi recate.
Oggi vi affido al vento. O viole, andate
a posar su le fosse ai cimiteri;
il mio pianto ed i miei dolci pensieri
viole di questo cor, laggiù lasciate.
Seguono le poesie:
- A mia madre
- Nostalgia (Al prof. Carlo Angelini)
- A te
- L’alba e la sera (A Nino Fiorentino)
- Leggenda silana (A Francesco Fiorentino)
- Serenata triste (All’On. Gaspare Colosimo)
- Brindisi (Ad Antonio Cimino)
- In morte di mio zio Pasquale Fiorentino
- Rosina (A Luigi Cirò)
- L’olmo (A Gigi Costanzo)
- A te
- Il saluto di Tell
- La risposta (Al Dottor Peppino Perri)
- Controra (A Francesco Lombardi)
- “Post mortem” (A Guido Cantalamessa-Carboni)
- In morte di Adelina Adamo
- Appassionatamente
- Il vento de la Sila (A Leopoldo De Fazio)
- Rivintinesca (A Rosarino Costanzo, fraternamente)
- Il borgo (Alla cara memoria del Cav. Dottor Paolo Adamo Patriota-Medico-Letterato)
A conclusione di questo gruppo di poesie troviamo i seguenti versi a pagina 40:
VIVENTE FIORE;
A te, dolcezza di mia vita amara,
offro singhiozzi del dolente core.
Sempre restando nella parte I, troviamo l’inizio di una sezione intitolata TRILOGIA. Dialetto calabrese che tanta confusione ha ingenerato nei compilatori di raccolte degli anni recenti. Costoro, non avendo consultato l’originale Trilogia del 1901, hanno ritenuto di attribuire tutte le poesie appartenenti a questa sezione di Viole e ortiche all’opera con quel titolo. E invece Michele Pane, in questa sezione che ripropone lo stesso titolo usato cinque anni prima, inserisce molte altre composizioni accomunate dal tema sentimentale e dall’essere scritte in dialetto decollaturese. Ecco l’elenco:
- Pro domo sua
- ‘A tabacchera
- ‘A catarra
- ‘U dobotte
- Nàscita
- S. Giuseppe
- Cumu se prega
- ‘U chiariellu
- Pullulijandu
- I pezzivecchiari
- I tùmbari
- ‘U Vullu
- ‘A Fòcara
- ‘A zampugna
- ‘A zumbettana
- ‘A campana
- ‘A Funtana
- ‘U focularu
- ‘U campusantu
- ‘A serenata
La grafia che ho seguito nei titoli è fedele a quella usata dall’autore nell’indice: non è dato sapere perchè Vullu, Fòcara e Funtana abbiano avuto l’iniziale maiuscola e le altre parole no!
A questo punto inizia la Parte II, quella intitolata Ortiche, introdotta da versi come per Viole:
O mie tènere amiche,
nate negli orti incolti
e tra i cespugli folti,
mie verdi, care ortiche,
Voi che siete pungenti
e non avete olezzo,
portate il mio disprezzo
a tutti i prepotenti!
A sangue fustigate
ogni maschera sporca,
e gli eroi de la forca
frustateli, frustate!
Frustate i patriottardi,
i cavalieri imbelli,
e su le loro pelli
pungete come dardi;
Chè fino a quando il sole
del ver non splenda in aria,
Ortiche ed Orticaria
corrò, non più viole.
Seguono le due poesie Ad un cardello e Gli sciacalli (A Guglielmo Adamo) e poi c’è L’ùominu russu. Sulle varianti presenti in questa riproposizione del famoso libello del 1899 mi dilungo molto nella biografia; qui ricordo solo che per evitare guai Michele Pane cambiò alcune parole che gli erano valse una querela per diffamazione da parte di Leopoldo Perri.
In Viole e ortiche L’ùominu russu presenta, oltre alle varianti nel testo di cui sopra, due aggiunte. La prima è il verso di Carducci, uno dei poeti preferiti di Michele Pane, «Muor Giove, e l’inno del poeta resta» scritto dopo il titolo e un tamburo militare che rappresenta il «tamburrinaru» Leopoldo Perri con evidente significato derisorio. Il verso di Carducci è tratto dalla poesia Dante appartenente alle Rime nuove e con ciò Pane vuole costruire un parallelo tra la vicenda politica di Dante e la sua, in cui le opere e la fama di entrambi sopravvivono ai potenti che li hanno avversati.
La seconda aggiunta è la dedica «Alla memoria del Poeta Pierantonio Marasco» che prende il posto di quella “A Nicolào della Montagna».
Dopo L’uominu russu ci sono due poesie, Alli liccapiàtti e I pisci grassi, seguite da una nuova composizione dal misterioso titolo di Azzarelleide (Vrogniàta in La maggiore) di cui tratto in un altro articolo.
Chiudono il volume due contributi di altri autori, chiamati “Commenti”. Si tratta di un articolo di Luigi Accattatis dal titolo “Il dialetto Calabrese nell’America” e uno di Luigi Costanzo “Cenni bibliografici” su Michele Pane.
L’uominu russu
Scritto on 5 Dic, 2011 in L'uominu russu | 4 commenti
L’uominu russu è la prima opera pubblicata da Michele Pane nel 1899 quando era ancora militare a Foggia.
L’opera è tutta una satira sull’uomo rosso, un certo Leopoldo Perri, compaesano del poeta, di cui si parla ampiamente – con documenti tutti inediti – nella biografia di Michele Pane, che viene preso in giro per il suo finto garibaldinismo.
Il libretto ha 8 pagine del formato di circa 15×20 cm più la copertina di carta leggera e colorata in rosso chiaro.
Michele Pane, nella pubblicazione, utilizza lo pseudonimo di Esperio Calabro, cosa che era rimasta completamente sconosciuta a chi aveva finora scritto sul poeta poichè, per scoprirlo, è stato necessario avere tra le mani una copia originale de L’uominu russu.
L’unica copia sopravvisuta, almeno per quanto se ne sappia, è quella custodita nella Biblioteca Provinciale La Magna Capitana di Foggia ed è da quella copia che si è appreso dello pseudonimo usato da Michele Pane.
Naturalmente, lo pseudonimo non riuscì a proteggere Michele Pane dalla causa penale che gli intentò Leopoldo Perri, dovendo subire un processo (che si svolse a Lucera) in cui evitò il carcere ma fu condannato insieme all’editore foggiano Michele Pistocchi.
L’avvocato di Michele Pane, Gaspare Colosimo, nella sentenza di appello che si svolse a Trani, riuscì ad ottenere per il suo assistito l’assoluzione per prescrizione.
Sul treno di ritorno da Foggia (da Lucera a Foggia, allora come oggi, c’è una linea ferroviaria locale) dopo il primo processo Michele Pane, esultante per lo scampato pericolo, compose una poesia divenuta celebre:
Alli Liccapiàtti
Crepàti, o liccapiàtti!
Vincivʼio la primera
e, ppeʼ dispìettu vuostru,
nun ce jìvi ʼngalera.
Vuʼ eravu ʼna mandra
ʼmbiata dʼ ʼu Barune;
io sulu, ma ve fici
ʼndùcere lu limune.
Tra lʼàutri ʼrandi jaschi
ʼnzippàti ʼstu varrìle;
cangiàti sû lli tiempi,
abbàsciu lu staffìle!
Nun cʼeradi bisuognu
cchiù de ve sbrigognare,
ma nʼavìti volutu
propu, fare scialare!
Cchi bella damingiana!
cchi biellu vumbulune!
cchi qualità de Terra,
ʼmbiscàta ccuʼ Critune!
Cumu cce mere propu
a ʼna ricca dispenza!
cumu si cce ricrìja
mu vive Sua Ccillenza!
Crepàti, o liccapiàtti!
vincivʼio la primera;
ppeʼ vue ʼnimali ʼe panza
è fatta la galera!
E si nun ve ʼmparàti
a fare ʼu fattu vuostru,
io vi la cantu forte
(e ʼunʼammàlu lu ʼnchiuostru)
Tutta la vostra lorda,
porcariùsa storia….
chʼ ʼa nàscita e lla pàscita
vostra sacciu ʼn mimoria!
Sul treno – da Foggia a Sambiase – Luglio 1900
Leggi tutto