Michele Pane alla Fiera di Chicago del 1933-34

L’Esposizione internazionale di Chicago del 1933-34 fu un evento grandioso. Si svolgeva in quella città per celebrarne i primi 100 anni di storia per cui il suo titolo fu A Century of Pregress.

Da punto di vista economico fu un’impresa colossale che richiese forti investimenti e la costituzione di una grande società in grado di gestirne l’aspetto economico. L’apertura ufficiale avvenne il 27 maggio 1933 e la sua chiusura era prevista per la fine di ottobre dello stesso anno.

Annuncio dell'inaugurazione della Fiera

Annuncio dell'inaugurazione della Fiera

Vista panoramica della Fiera

Vista panoramica della Fiera

L’area della Fiera occupava un enorme spazio sulla riva del lago Michigan in cui dovevano essere costruiti i villaggi delle decine di delegazioni dei paesi stranieri che vi parteciparono. Fra questi, ovviamente, c’era anche l’Italia. Anzi l’Italia, per certi versi, avrebbe avuto un ruolo molto importante per la storica trasvolata dell’Oceano Atlantico che il Generale Italo Balbo intendeva effettuare proprio per l’occasione.

Si trattava di un’operazione di propaganda e di promozione dell’immagine che Mussolini voleva compiere per mostrare al mondo intero le capacità tecniche e la potenza raggiunta dall’Italia sotto il suo governo.
Il padiglione italiano venne progettato per veicolare i due aspetti del nostro paese cui si annetteva importanza: la millenaria tradizione storico-artistica e l’innovazione tecnologica che lo proiettava verso il futuro.
Da ciò trae origine la costruzione di un angolo che ricreava un’ambientazione tra rovine di colonne romane e il padiglione vero e proprio che avrà la forma di un aereo per sottolineare l’impresa di Balbo cui accennavo sopra.

Il padiglione italiano

Il padiglione italiano

Il villaggio italiano

Il villaggio italiano

Durante la Fiera ad animare il Villaggio italiano furono chiamati cantanti e comparse, come ad esempio le Quattro Sorelle Monforte che vediamo in una fotografia scattata durante un loro spettacolo:

Le Sorelle Monforte durante un'esibizione al Villaggio Italiano

Le Sorelle Monforte durante un'esibizione al Villaggio Italiano

Quello che segue è un filmato che mostra alcuni momenti della Fiera:

Sulla Fiera di Chicago fu pubblicata un’enorme quantità di guide e opuscoli, alcuni cosiddetti “ufficiali” perchè prodotti e venduti dalla stessa società che aveva organizzato l’evento. Ecco un esempio di guida che fu pubblicata già nel 1932:

La Fiera di Chicago era destinata a restare aperta solo in quell’anno ma successivamente, forse anche per compensare gli enormi investimenti economici che erano stati affrontati, si decise per una riapertura nel successivo 1934. Tutti i padiglioni avevano bisogno di assumere personale sia per la costruzione e manutenzione sia per gli stand e come guide per il pubblico. Michele Pane, al quale non era stato possibile ottenere alcun incarico nel 1933, si diede da fare per trovare un’occupazione per la figlia Libertà e per se stesso. L’interlocutore principale fu il Console di Chicago cui necessariamente faceva capo il Governo italiano per l’organizzazione del villaggio e del padiglione (per i dettagli vedi: G. Musolino, «Michele Pane. La vita», pagina 165).
Michele e Libertà ottennero l’agognata occupazione: il padre nel Padiglione del libro e la figlia nell’Esposizione dei vetri di Venezia. Insieme a Libertà furono assunte altre tre ragazze italoamericane: Mary, Mildred e Teresa. Del quartetto delle ragazze ho trovato una foto ricordo scattata all’ingresso del Padiglione che le ritrae in costume tradizionale italiano (Libertà è la seconda da destra):

Libertà e le sue amiche all'ingresso del Padiglione Italiano

Libertà e le sue amiche all'ingresso del Padiglione Italiano

Le ragazze ebbero un enorme successo tra i visitatori che rimanevano incantati davanti al loro fascino. Un certo Jerry dedicò dei versi alle quattro ragazze della “squadra”:

To "The Gang" by Jerry

To "The Gang" by Jerry

«Occhi grandi grandi
lucenti capelli neri.
Bellezza del suo genere
è sempre così rara: quella
sfarzosa di Penelope»

questo dice la strofa a lei dedicata come si vede dal foglio che Libertà conservò per moltissimi anni, segno di un periodo che per lei dovette essere molto picevole.
Aveva esattamente vent’anni quando lavorò alla fiera ed era nel pieno della sua bellezza. I visitatori del Padiglione italiano lasciarono dei brevi messaggi autografi su un librettino dalle pagine colorate che Libertà, insieme alla foto e alla poesia, conservò tra i suoi ricordi più cari. Dalla lettura si deduce il suo grande successo:

Libretto degli autografi

Libretto degli autografi

autografo

autografo

autografo

copertina

Perchè Libertà conservò questi oggetti per tutta la vita? Perchè quel lavoro alla Fiera costituì per lei una bellissima esperienza, il debutto ufficiale nella società di Chicago — forse il suo primo lavoro — e poi perchè in quella fiera, tra le migliaia di visitatori che visitarono il padiglione, ci fu un giovane italiano che rimase colpito più ancora degli altri e che sarà il suo futuro sposo. Si trattava di un giovane italiano, un avvocato destinato alla carriera in magistratura, Oronzo De Pascalis. Fra i due nacque una certa simpatia, una promessa di rivedersi; poi una corrispondenza che porterà Libertà nel 1937 a compiere il suo leggendario viaggio in Italia e poi nel 1938, accompagnata dal padre, al suo definitivo trasferimento a Roma dove l’8 ottobre sposò Oronzo.

Per quanto riguarda Michele Pane, sappiamo che fu assunto per circa tre mesi per lavorare all’interno del Padiglione Italiano alla “Mostra del Libro”. Evidentemente i suoi meriti letterari riuscirono a convincere il Console Castruccio a offrirgli quel posto. Non ci sono immagini che lo ritraggono ma la sola traccia che rimane è una busta intestata che Michele Pane consegnò all’On. Nicola Serra di Cosenza, durante la sua visita alla Fiera e che è stata esposta dal prof. Chiarello lo scorso ottobre 2011 durante la presentazione dei nostri due libri al Liceo Scientifico di Decollatura:

mostra libro

Michele Pane si lamentò sempre dello scarso sostegno riservatogli dal Console italiano a Chicago, come si legge nella corrispondenza diretta all’On. Nicola Serra di Cosenza che visitò la Fiera nel 1934.

Il Console italiano a Chicago Giuseppe Castruccio

Il Console italiano a Chicago Giuseppe Castruccio

Questa è una delle poche immagini esistenti del piano terra del Padiglione Italiano da cui probabilmente si accedeva ai locali che ospitavano la Mostra del Libro:

Il Governo italiano, come già detto, approfittò dell’occasione della Fiera Internazionale di Chicago per fare un’esibizione della propria potenza tecnologica. Il punto di forza era la cosiddetta «Crociera del Decennale» per celebrare i dieci anni compiuti dalla Regia Aeronautica e che consisteva nel compiere la transvolata dell’Oceano con degli aerei idrovolanti in formazione con alla testa Italo Balbo.

Questo è il libretto ufficiale che illustra i dettagli della trasvolata:

Questo è un filmato che mostra le fasi dell’arrivo degli aerei a Chicago e la folla entusiasta. Gli aerei partiti da Orbetello il 1 luglio erano 25 ma uno venne perso (insieme a un membro dell’equipaggio) all’arrivo ad Amsterdam, una delle tappe previste del viaggio. Un altro aereo e un altro uomo sarà perso nelle Azzorre durante il volo di ritorno e quindi a Orbetello ne torneranno solo 23.

card card card

 

L’impresa dei 24 idroplani Savoia-Marchetti SM.55X della formazione di Balbo che ammararoro sul Michigan il 15 luglio 1933 riempì d’orgoglio gli italiani di Chicago che erano da sempre presi di mira dalla stampa americana in quanto connazionali dei mafiosi che infestavano la città. Quel giorno, con Balbo come il Cristoforo Colombo del XX secolo, gli italiani furono i protagonisti della scena!
L’apice fu raggiunto nel 1934 per celebrare l’anniversario dell’impresa: davanti all’ingresso della fiera venne scoperta una colonna romana del II secolo fatta arrivare appositamente via mare dagli scavi di Ostia Antica e poggiata su un basamento contenente un’iscrizione inneggiante al regime e a Balbo. Fu un’operazione di grande propaganda cui gli americani risposero intitolando una strada a Balbo  (la Balbo Avenue ancora esistente). La colonna romana si trova ancora  nel suo posto originale, ora diventato Burnham Park, anzi è l’unica testimonianza della Fiera del 1933-34 rimasta in Chicago.
In molta parte dell’opinione pubblica americana circola una forte perplessità sull’opportunità di mantenere al suo posto un monumento inneggiante a Balbo e al regime fascista, tuttavia la colonna si trova ancora al suo posto.

Quello che segue è il servizio trasmesso dal TG1 della Rai il 5 agosto 2013:

 

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Il «Corriere della Calabria» parla di noi

Il primo marzo appena trascorso nel settimanale «Corriere della Calabria» a pagina 62 è apparso un bellissimo articolo sulla biografia Michele Pane. La vita scritto da Giuseppe Musolino e sul progetto in generale. L’autore è il giornalista Eugenio Furia a cui va un sentito ringraziamento. Ecco l’articolo:

Corriere della Calabria 1 marzo 2012

«Corriere della Calabria», 1 marzo 2012

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Giovanni Falvo su CHIN Radio da Toronto

Italia-Canada

 

Sabato 3 marzo 2012 alle ore 23,00

ora italiana – il nostro amico Giovanni Falvo residente in Canada è stato intervistato da Italo Luci su CHIN Radio che trasmette da Toronto nel corso della trasmissione dedicata ai nostri connazionali emigrati. Qui puoi ascoltare la registrazione:

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Viole e ortiche

Viole e ortiche

Viole e ortiche fu pubblicato nel 1906 presso lo Stabilimento Tipografico Elettrico R. Calvosa & Co., ubicato al n. 24 di Oliver Street a New York, di proprietà di Rocco Calvosa ed Edward Dramis.

Viole e ortiche, 1906

Viole e ortiche, 1906

Viole e ortiche è la prima raccolta che Michele Pane pubblica con l’intento di farsi conoscere dal grande pubblico, la sua prima opera di poeta che potrebbe avere un riscontro commerciale. Infatti le uniche due opere precedenti erano state L’uominu russu, pubblicato con lo pseudonimo di Esperio Calabro e che non era destinato alla vendita ma soltando a prendere in giro Leopoldo Perri (come raccontato nel libro Michele Pane. La vita), e Trilogia che, pur essendo destinato alla vendita (prezzo £ 0,50), era stato stampato in un numero limitatissimo di copie e poi conteneva solo tre poesie, tra le sue più belle certamente, ma troppo poche per farne un’opera commercialmente plausibile. Con Viole e ortiche Michele Pane per la prima volta aggiunge il cognome Fiorentino della madre a Pane.

Viole e ortiche raccoglie i testi de L’uominu russu che fino ad allora era noto solo a coloro ai quali era stato fatto pervenire anonimamente per posta o che ne erano entrati in possesso per vie riservate, e Trilogia, con l’aggiunta di tante altre poesie forse non tutte inedite, poichè qualcuna era stata già pubblicata su periodici americani. L’opera si articola in una prima parte chiamata Viole — che si caratterizza per i temi delicati e alti che tocca: la famiglia, l’amore, i miti e le leggende, gli eroi — e in una seconda parte, Ortiche, più breve della precedente e dedicata alle invettive contro i prepotenti e gli arroganti, i nemici del bene che pensano di dominare il mondo ma che non si accorgono di avere ormai perduto, sopraffatti dalla giustizia che prima o poi li annienterà. Dal punto di vista stilistico, l’opera risente senz’altro della circostanza di non essere formata da poesie nate per un unico progetto compositivo ma, piuttosto, di essere l’unione di lavori che il poeta aveva già pubblicato e di altri che erano stati composti nel frattempo. L’insieme tuttavia appare in una luce nuova per il titolo e l’articolazione che suggeriscono le chiavi di lettura da seguire per decodificarne i contenuti.

Viole e ortiche, pag. 5 con autografo di Libertà

Viole e ortiche, pag. 5 con autografo di Libertà

Dall’esame di questa pagina emerge il problema di quale sia esattamente il titolo del volume, poichè nella pagina interna è presente quella “d” diversamente da quanto è scritto nella copertina. Qui non si tratta di stabilire quale sia il modo esatto di scrivere — che tutti sanno essere quello senza la “d” — piuttosto quale fosse l’intenzione dell’autore. Io assumo che abbia maggior valore quello indicato nella copertina, quindi solo con la “e”, mentre rimane aperta la questione se la “o” di ortiche debba intendersi maiuscola o minuscola. L’uso dei caratteri tutti maiuscoli nella copertina e nelle pagine interne non aiuta a dirimere la questione, ma io propendo per il carattere minuscolo, così come anche ho fatto per L’uominu russu.

Appena aperto il volume ci si imbatte in una pagina fuori numerazione che ospita una fotografia di Michele Pane — quella bellissima fotografia che ho usato per la copertina della biografia, ridimensionata e racchiusa in un ovale. Sotto la fotografia c’è l’autografo del poeta. Fotografia e calligrafia: le due passioni di Michele Pane che lo seguiranno fino alla fine. Il poeta infatti ebbe un vero culto per le fotografie: le sue che inviava continuamente a parenti e amici, e quelle che riceveva e conservava gelosamente. La calligrafia poi fu una sua mania. Tutte le sue lettere sono scritte con caratteri personali e perfettamente uniformi, una vera impronta digitale dei suoi caratteri. Per quanto riguarda la firma, Michele Pane si era fatto realizzare un chichè in metallo che la riproduceva. Io ho avuto la possibilità di esaminare uno di questi clichè che riproduco nell’immagine qui di seguito (l’immagine è capovolta per renderla leggibile) ma che non è quello usato in Viole e ortiche:

Clichè con la firma di Michele Pane

Clichè con la firma di Michele Pane

A pagina 3 troviamo l’ultima strofa di Alla rima di Giosuè Carducci, poesia datata «Bologna, 22 gennaio 1877» che apre le Rime nuove. I versi sono un chiaro riferimento alla duplice destinazione di Viole e ortiche:

Cura e onor de’ padri miei,
Tu mi sei
Come lor sacra e diletta.
Ave, o rima: e dammi un fiore
Per l’amore,
E per l’odio una saetta.

Inizia quindi Viole Parte I  con un’invocazione alle viole (senza titolo), in lingua italiana come tutte le altre poesie che compongono questo primo gruppo:

   O viole brune, delicate, aulenti
nate la notte al sospitar dei cieli
quando le fate, avvolte in bianchi veli,
van per le selve al mormorio dei venti

   umili viole, che con infinita
cura io raccolsi e con la fede intera,
quando lieta splendea la primavera
nel mattino perlato di mia vita,

   oggi vi affido al vento. O viole andate
a posar sovra i miseri abituri,
e ai bimbi de la plebe nascituri
il mio saluto e il vostro olezzo date.

   Oggi vi affido al vento. O delicate
figlie di questo cor che vi ha nutrite,
di cui sapete l’intime ferite,
a la mia donna il vostro olezzo date.

   Oggi vi affido al vento. O immacolate
viole, speranze mie, picciol tesoro;
dove fervon la lotta ed il lavoro
il mio saluto, o viole, ivi recate.

   Oggi vi affido al vento. O viole, andate
a posar su le fosse ai cimiteri;
il mio pianto ed i miei dolci pensieri
viole di questo cor, laggiù lasciate.

 Seguono le poesie:

  • A mia madre
  • Nostalgia (Al prof. Carlo Angelini)
  • A te
  • L’alba e la sera (A Nino Fiorentino)
  • Leggenda silana (A Francesco Fiorentino)
  • Serenata triste (All’On. Gaspare Colosimo)
  • Brindisi (Ad Antonio Cimino)
  • In morte di mio zio Pasquale Fiorentino
  • Rosina (A Luigi Cirò)
  • L’olmo (A Gigi Costanzo)
  • A te
  • Il saluto di Tell
  • La risposta (Al Dottor Peppino Perri)
  • Controra (A Francesco Lombardi)
  • “Post mortem” (A Guido Cantalamessa-Carboni)
  • In morte di Adelina Adamo
  • Appassionatamente
  • Il vento de la Sila (A Leopoldo De Fazio)
  • Rivintinesca (A Rosarino Costanzo, fraternamente)
  • Il borgo (Alla cara memoria del Cav. Dottor Paolo Adamo Patriota-Medico-Letterato)

A conclusione di questo gruppo di poesie troviamo i seguenti versi a pagina 40:

VIVENTE FIORE;
A te, dolcezza di mia vita amara,
offro singhiozzi del dolente core.

Sempre restando nella parte I, troviamo l’inizio di una sezione intitolata TRILOGIA. Dialetto calabrese che tanta confusione ha ingenerato nei compilatori di raccolte degli anni recenti. Costoro, non avendo consultato l’originale Trilogia del 1901, hanno ritenuto di attribuire tutte le poesie appartenenti a questa sezione di Viole e ortiche all’opera con quel titolo. E invece Michele Pane, in questa sezione che ripropone lo stesso titolo usato cinque anni prima, inserisce molte altre composizioni accomunate dal tema sentimentale e dall’essere scritte in dialetto decollaturese. Ecco l’elenco:

  •  Pro domo sua
  • ‘A tabacchera
  • ‘A catarra
  • ‘U dobotte
  • Nàscita
  • S. Giuseppe
  • Cumu se prega
  • ‘U chiariellu
  • Pullulijandu
  • I pezzivecchiari
  • I tùmbari
  • ‘U Vullu
  • ‘A Fòcara
  • ‘A zampugna
  • ‘A zumbettana
  • ‘A campana
  • ‘A Funtana
  • ‘U focularu
  • ‘U campusantu
  • ‘A serenata

La grafia che ho seguito nei titoli è fedele a quella usata dall’autore nell’indice: non è dato sapere perchè Vullu, Fòcara e Funtana abbiano avuto l’iniziale maiuscola e le altre parole no!

A questo punto inizia la Parte II, quella intitolata Ortiche, introdotta da versi come per Viole:

   O mie tènere amiche,
nate negli orti incolti
e tra i cespugli folti,
mie verdi, care ortiche,

   Voi che siete pungenti
e non avete olezzo,
portate il mio disprezzo
a tutti i prepotenti!

   A sangue fustigate
ogni maschera sporca,
e gli eroi de la forca
frustateli, frustate!

   Frustate i patriottardi,
i cavalieri imbelli,
e su le loro pelli
pungete come dardi;

   Chè fino a quando il sole
del ver non splenda in aria,
Ortiche ed Orticaria
corrò, non più viole.

Seguono le due poesie Ad un cardello e Gli sciacalli (A Guglielmo Adamo) e poi c’è L’ùominu russu. Sulle varianti presenti in questa riproposizione del famoso libello del 1899 mi dilungo molto nella biografia; qui ricordo solo che per evitare guai Michele Pane cambiò alcune parole che gli erano valse una querela per diffamazione da parte di Leopoldo Perri.
In Viole e ortiche  L’ùominu russu presenta, oltre alle varianti nel testo di cui sopra, due aggiunte. La prima è il verso di Carducci, uno dei poeti preferiti di Michele Pane, «Muor Giove, e l’inno del poeta resta» scritto dopo il titolo e un tamburo militare che rappresenta il «tamburrinaru» Leopoldo Perri con evidente significato derisorio. Il verso di Carducci è tratto dalla poesia Dante appartenente alle Rime nuove e con ciò Pane vuole costruire un parallelo tra la vicenda politica di Dante e la sua, in cui le opere e la fama di entrambi sopravvivono ai potenti che li hanno avversati.

La seconda aggiunta è la dedica «Alla memoria del Poeta Pierantonio Marasco» che prende il posto di quella “A Nicolào della Montagna».

Dopo L’uominu russu ci sono due poesie, Alli liccapiàtti e I pisci grassi, seguite da una nuova composizione dal misterioso titolo di Azzarelleide (Vrogniàta in La maggiore) di cui tratto in un altro articolo.
Chiudono il volume due contributi di altri autori, chiamati “Commenti”. Si tratta di un articolo di Luigi Accattatis dal titolo “Il dialetto Calabrese nell’America” e uno di Luigi Costanzo “Cenni bibliografici” su Michele Pane.

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